Giornata mondiale contro l’infibulazione e le mutilazioni genitali femminili.

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Giornata mondiale contro l’infibulazione e le mutilazioni genitali femminili

Il 6 febbraio si celebra la Giornata mondiale della tolleranza zero contro le mutilazioni genitali femminili, istituita dalle Nazioni Unite per diffondere consapevolezza su questa pratica lesiva dei diritti umani che ha conseguenze gravissime sulla salute fisica e psichica delle bambine e delle ragazze.

Essendo questo un argomento molto intimo e delicato sia giusto parlarne e trattarlo con enorme rispetto ed il modo miglio per far comprendere è quello di raccontare la storia di una di queste Donne. Mariam aveva solo cinque anni quando ha subito l’infibulazione.

“Ricordo tutto, ogni singolo dettaglio di quel giorno, di quei momenti” racconta. “È tutto impresso nella mia mente: dove è accaduto, chi mi teneva ferma, chi era presente…come tutto questo sia stato spacciato per una festa, con musica e regali per me”.

A Mariam sono stati rimossi il clitoride, le piccole e le grandi labbra con un rasoio, poi i due lati (il lume vaginale) sono stati cuciti. Questa è una delle forme più comuni tra le mutilazioni genitali praticate nel Gibuti, conosciuta come di “tipo faraonico”.

Sebbene la pratica sia illegale nel Gibuti sin dagli anni ’80, era e resta una pratica tradizionale per la maggior parte dei gruppi etnici del paese. Gli Afar, per esempio, praticano le mutilazioni genitali nelle prime settimane successive alla nascita, i Somali poco prima della pubertà, entro i 15 anni. Il movimento per fermare le mutilazioni genitali femminili è iniziato negli anni ’80 e ha lentamente, ma costantemente, acquisito slancio negli ultimi 25 anni, nel tempo di una generazione. Miriam ora fa parte di questo movimento contro le mutilazioni genitali. Dieci anni dopo la mutilazione subita, nel 2005, si è unita ad un programma comunitario di empowerment, dove ha imparato a conoscere i diritti delle donne, la democrazia, la salute, l’ambiente, la protezione dei bambini e la gestione dei progetti. Ha appreso quali sono i rischi della pratica della mutilazione e si è unita al movimento che chiede che sia interrotta nel paese.

Quindi, quando Mariam ha sposato il suo attuale marito, Ali, e successivamente è rimasta incinta di una bambina, sapeva di non volere che sua figlia subisse lo stesso trattamento.  Una settimana dopo aver partorito, Mariam è dovuta uscire di casa per ritirare il suo diploma, così sua madre ha intravisto una possibilità e ha chiamato una vicina di casa che praticava la mutilazione.

Quando Mariam e suo marito sono rientrati, la piccola urlava e sanguinava.

“Come avevo potuto permettere che accadesse questo a mia figlia, dopo aver promesso che non sarebbe più successo?”

Nei 40 giorni successivi, la piccola di Mariam e Ali ha continuato a sanguinare, e a 6 mesi, pesava meno di quando era nata. L’infezione si era diffusa in tutto il suo piccolo corpo.

“Se fossi andata dal dottore, avrei ammesso la mia colpa, a meno che non avessi detto la verità e avessi denunciato mia madre e mio marito – cosa che non potevo fare. Ero paralizzata. Potevo rispondere alle domande del medico solo a monosillabi.”

A sei mesi, la figlia di Mariam non è riuscita a superare l’infezione ed è morta.

CREDO CHE NON CI SIANO ALTRE PAROLE CHE RIFLETTERE E FARE IN MODO DI FERMARE QUESTE BARBARIE………

Cinzia